Introduzione

In questa relazione ho provato ad inserire non tanto la descrizione tecnica del percorso, cosa per la quale mi mancano le capacità, ma piuttosto le emozioni che mi hanno accompagnato e tanti piccoli particolari per far si che rileggendola, anni dopo, mi riporti la mente a quei precisi momenti: un modo per ritrovarmi più facilmente, e più fedelmente possibile almeno con il ricordo, lungo i sentieri di quei tre giorni. 

Gran Paradiso

 

Prologo

Dopo anni di attesa l'agosto 2014 ci ha visti realizzare un sogno, un progetto restato a lungo in sospeso: tour del Gran Paradiso in MTB. Anni fa nemmeno l'idea mi sfiorava, forse nemmeno ero cosciente di cosa sia il Gran Paradiso ed il suo Parco Nazionale, inserito da poco dal The Guardian tra i 10 Parchi Nazionali più belli d'Europa; uno dei pochi nel quale le MTB sono ancora ammesse. Il sogno di Eta è diventato, a poco a poco, anche il mio! Comincio a leggere le sue note, le relazioni di chi c'è stato, vedo foto di animali, leggo di gente (poca) che ha percorso i suoi sentieri in bici e la voglia cresce.
Trovare compagni per un'avventura come questa non è facile e l'impossibilità di programmare rende l'impresa ancor più difficile. Due anni fa ricordo di aver studiato in parte il giro e di aver cercato hotel in cui pernottare, ma poi il progetto è saltato. Al punto 4 della todo's list sezione MTB compare questo mitico giro, ma anche per quest'anno pare irrealizzabile. Troppo pericoloso da fare in due. Quando oramai il progetto sembra abbandonato ecco che Eta legge di sfuggita una risposta di Apo che annuncia il suo prossimo tour: proprio il GranPa!
Andare o non andare? Andare o non andare? Paura e voglia! Tanta voglia e tanta paura! Ce la facciamo o no? Paura più mia forse; valuto attentamente la situazione, sono indecisa, ma poi arriva un: io confermo, ok? Ok, confermato! Il dado è tratto, si fa, carpe diem! Non resta che prepararsi psicologicamente e preparare lo zaino!
L'incontro logistico si svolge dopo un invito a cena a casa di eta, anche questa una cosa eccezionale e tutto scorre liscio, tra una pianificazione e l'altra, tra un video e l'altro. Abbiamo anche imparato che i funghi non si mettono a bagno, si puliscono con pennello e carta, ma se li metti a bagno poi il risotto viene buono comunque ;)
Il giorno prima della partenza è dedicato agli ultimi dettagli pratici: preparazione bici, prova zaino, recupero e unione attrezzi poi relax al cinema e nanna prestissimo.
Prima della partenza vera e propria vi presento il gruppo:
  • Eta: è Simone, il presidente e fondatore del gruppo EtabetA, un amore congiunto tra montagna, mtb e fotografia.
  • Apo: è Guido, accompagnatore del gruppo cicloescursionismo mtb del Cai Venaria e molto altro
  • Sara: maestra di mtb e cineoperatrice ufficiale del tour
  • Marco: quasi neofita, ma con un coraggio da leoni e gamba da invidia. Il retrò dagli occhi di ghiaccio.
  • TheGirl: sono io, Ste, nick name coniato anni fa in quanto, allora, unica donna del gruppo EtabetA.
 

Giorno 1 - 11 agosto 2014

Ore 6.00 appuntamento a Venaria, carico bici e via verso Pont Canavese.
A Pont primo intoppo: il bus passa in perfetto orario ma noi non siamo altrettanto perfetti e ce lo perdiamo. (beh, quello prima di quello che avremmo dovuto prendere se fossimo stati sicuri di poter caricare le bici). Alla fin fine si rivela una fortuna poiché la parlantina di Apo e la maglia del Cai che indossa ci aiutano a trovare un trasporto più comodo. Una navetta a prezzo bassissimo ci porterà a Chiapili.
Sosta colazione/bagno al rif. Cai Guido Muzio e via in sella. Ci siamo, siam partiti!
Partenza dal Rif. Guido MuzioRiusciamo a pedalare asciutti per ben 100 mt di dislivello, poi sosta, giacca impermeabile e prime preghiere affinché smetta presto. Qualcuno lassù ci ascolta e finiamo la salita fino al prossimo rifugio al fresco ma asciutti. Il brutto tempo ci porta ad una scelta prudente: salire su asfalto e non dalla bellissima strada reale di caccia che però avevamo già percorso lo scorso anno salendo al col Leynir. Dall'asfalto inoltre riusciamo ad ammirarla e a fotografarla. Le nuvole sono minacciose ma alte e riusciamo anche a vedere il panorama. Alla imponente diga del lago Serrù, anche immortalata con il suo stambecco nella foto "Dam difficult", di Stanislao Basileo premiata nel 2013 nella categoria "Urban wildlife" del "Wildlife photographer of the year", il più importante concorso di fotografia naturalistica del mondo, promosso dal Natural History Museum di Londra e dalla BBC, spunta un po' di sole. Giungiamo ben presto al Colle del Nivolet, il primo di una lunga serie di colli, ed al rifugio Cai Città di Chivasso. La salita non è finita, ma il grosso è passato e ci concediamo un pranzo al caldo non troppo pesante. Guardiamo anche le previsioni meteo aggiornate e abbiamo la conferma che quest'anno non c'è nulla di normale nell'estate ed ogni previsione meteo stabile viene rinviata di giorno in giorno. Quello che mi importa maggiormente è non arrivare l'indomani al colle sotto il diluvio. Pare comunque che il sole riscalderà la prima parte della giornata: speriamo.
Ripartiamo verso il piano del Nivolet e ci godiamo il fondovalle: il fiume sembra aver scolpito un serpentone nel prato che scende a Pont Valsavarenche. Bellissimo!
Piana del NivoletPoco più avanti prendiamo il sentierino n. 9 che inizia a salire sul costone sinistro delle montagne che ci attorniano. Inizialmente è impedalabile ma lo diventa poco dopo. Qui incontriamo anche una famiglia dispersa, che si e' affidata a cartine con scala troppo piccola. Il sentiero diventa un traverso molto carino che ci fa godere di tutto il panorama sul lato opposto della valle: Cianforon e Gran Paradiso. Abbiamo anche la fortuna di vedere un elicottero che, partendo da fondovalle, si innalza a portare viveri prima al rif. Vittorio Emanuele, e poi al rif. Chabod. Per qualcuno sono i rifugi d'infanzia e ci si sofferma a godere del presente e a ripensare nostalgicamente al passato.
Il sentiero giunge al Vallon de Meyes: una radura, una piana che sicuramente è stata anni fa il fondo di un lago. Ultima sosta prima della fatica finale. Qui il sentiero diventa più ripido, per chi ha gambe buone quasi tutto ciclabile; io preferisco risparmiare i quadricipiti e spingo e porto fino a valicare la Cresta Manteau, terzo colle del tour e cima coppi della giornata (2798 slm).
Cresta Manteau
In fondo non siamo poi nemmeno tanto stanchi! Da qui si gode di una vista fantastica: col Entrelor, lac Nyr (di cui scopriamo l'esistenza: dal basso questo lago non si vede assolutamente) ed il noto lago Djouan incastonato nella splendida conca del Nampio. La parte iniziale fatta di tornantini dà grandi soddisfazioni a chi li riesce a chiudere. Qualcuno osa anche un po' troppo ma tutto scorre liscio. C'è poi da attraversare una pietraia impegnativa per via della grandezza delle rocce, ma oserei dire affascinante. Oltre la pietraia resta il gran divertimento fino al lago. Dal lago in giù tutto ci è già noto, sappiamo che sarà un bel pedalare! Per la sottoscritta un bel capitombolo al primo tornante dopo il capanno di Orvieille, ex accampamento reale di caccia. Un po' di paura per l'eventuale compromissione dei giorni successivi ma, a parte un piccolo dolore alla coscia che mi accompagnerà il giorno successivo, nulla di grave. Si comincia a vedere il fondovalle e il nostro primo posto tappa: quindi giù veloci fino in fondo.
L'Hotel Grivola di Bien (Valsavarenche) non è male, essenziale ma pulito, con una doccia bella calda con getto rilassante. Buona cena. Beh, si dopo una giornata impegnativa per me una buona doccia aiuta molto. La stanza è freddina ed un po' umida, ma tra movimenti e coperte prese dai letti vicini passiamo una buona notte.
Fine giorno 1
 

Giorno 2 - 12 agosto 2014

Alla sveglia la prima cosa è guardare il cielo. Non male, le previsioni dicono che non durerà, ma speriamo duri il più a lungo possibile. Iniziamo con una buona colazione, la spesa per il pranzo, acqua e un po' di manutenzione alle bici e poi via, alla Sua conquista: il mitico col Loson. Risaliamo brevemente la valle fino al bivio a Eaux Rousses e qui, leggendo i cartelli, ci rendiamo conto che non sarà una passeggiata, ma lo sapevamo. Il segnavia indica:
  • Col Loson: 4 ore e 30
  • Rif. Sella: 6 ore e 50
  • Cogne: 9 ore e 15
Tempi speventosi!
Ci renderemo poi conto che quei tempi sono per camminatori valdostani ben allenati perchè le persone incontrate sul percorso ci hanno confermato che non sono riusciti a rispettare nemmeno alla lontana i tempi indicati. La cosa ci consola un pochino visto che anche i nostri tempi saranno un po' più lunghi. Definitivamente raggiungeremo Cogne dopo ben 10 ore e 30 minuti di fatica.
L'imbocco del sentiero è impedalabile, ma dopo pochi tornanti il fondo diventa bellissimo e molti tratti seppur ripidi sono pedalabili per chi è ben allenato. Io, in vista della prospettiva che mi attendeva ho preferito camminare a lungo e conservare al massimo la gamba. Incontriamo due ciclisti, gli unici che incontreremo oggi: sono francesi di Marseille e pare sappiano il fatto loro. Li lasciamo passare e li rincontreremo dopo visto che loro scenderanno da qui. La prima parte del sentiero è nel bosco e mi ricorda un po' la salita dalla valle stretta al lago di Thures: fondo compatto, radici e pendenza costantemente impegnativa. Si arriva presto (si fa per dire) ai casolari di Levionaz inferiore, con la cappella, la casa del guardiaparco e l'unica fontana della giornata. Qui apprendo da un escursionista la notizia della morte di Robin Williams, pare suicidatosi. La mia memoria spesso latita, ma alcune notizie vengono nella mia testa associate ad immagini ed eventi particolari. Non è una notizia "in tema" con la giornata, ma è anche strano apprendere una notizia cosi in un luogo cosi inusuale. Ritornando alla nostra ascesa, dal Levionaz entriamo nel vallone omonimo retrostante ed il gruppo si allunga un po', ognuno segue il proprio ritmo (in una giornata cosi lunga ci sta) ma ci teniamo tutti sotto controllo visivo e ci riuniamo poco dopo per pranzo. Ci fermiamo la bivio che porta al rifugio Chabod. Non possiamo permetterci una pausa troppo lunga, ma nonostante questo la ripresa mi è pesata molto: per un attimo guardando avanti mi sono chiesta se ce l'avrei fatta. Anche Simo ha avuto un momento di sconforto ed allora ho capito che era solo "colpa" della pausa e quindi stringendo i denti a breve sarebbe passato lo sconforto. Così è stato. Il paesaggio nel frattempo si è fatto via via più roccioso, il vallone Lauzon sembra infinito, siamo dietro alla Grivola e iniziamo a chiederci quale sia il "nostro" colle non facilmente individuabile vista la lontananza che ancora lo rende irriconoscibile. Seguiamo i colori dell'abbigliamento degli escursionisti che ci precedono che contrastano con il grigio delle rocce e piano piano iniziamo a capire. Il colle resta sulla nostra destra, fortunatamente, ed ovviamente, il punto più basso (si fa per dire).
Lassu' il colle      Laggiu' la Valsavarenche
Questa è anche la zona in cui inizia lo stupore e l'emozione nel vedere gli stambecchi che, molto seranamente, si godono il loro ambiente naturale. Ci osservano e si capisce chiaramente che qui sono loro i padroni. Fin dal mattino le nuvole han continuato a transitare più o meno velocemente sopra le nostre teste, ora però iniziano ad accumularsi nonostante la temperatura sia ancora perfetta. Riusciamo ancora a pedalare diversi tratti, siamo poco sotto i 3000 mt di quota: sembra impossibile. Da qui però inizia il tratto esposto, tornantoso e pietroso. Diventa pressochè impossibile, non solo pedalare, ma anche spingere e quindi chi prima e chi dopo si rassegna al portage. Anche qui ogni componente del gruppo segue un po' il suo ritmo: ci incontriamo, ci perdiamo (mai di vista) e ci ritroviamo. Ad un paio di centinaia di metri sotto il colle ritroviamo i nostri colleghi ciclisti. Il commento di lui è stato: "le plus beau chemin italien". Era entusiasta e mi ha fatto venire immediatamente voglia di rifarlo in salita per poterlo scendere in sella. Ci ha anche detto che lassù faceva molto freddo e considerando che il cielo era oramai grigio e minaccioso e il vento iniziava a soffiar freddo ho optato per la sosta abbigliamento. Mi sono vestita con ciò che di più pesante avevo; visto che sarei salita molto lentamente non c'era pericolo di sudare ed ho preferito evitare il cambio vestiti al colle ma piuttosto di arrivare al colle già pronta per l'eventuale freddo, pioggia e aria in discesa. Direi che la scelta è stata saggia, solo un po' di freddo ai dorsi delle mani che restavano esposti per tenere la bici, per il resto abbigliamento azzeccato. Salgo piano, passo dopo passo, guardo il cielo e prego. Prego affinchè non succeda quello che è successo al giro del Combin; non posso prendere sempre diluvio e grandine sui punti più alti, panoramici e delicati dei grandi tour: per cortesia questa volta no. A qualche passo dalla cima Coppi (che forse è la cima Coppi della mia vita piuttosto che di questo tour) incontro un palombaro che riconosco solo dopo alcuni istanti essere Marco che pronuncia parole confuse. Beh, la quota fa dire strane cose, ho pensato. Guido è li che mi aspetta con la macchina foto accesa e con il cinque teso. Simo è rilassato al riparo dalle intemperie. Io arrivo, poso la bici, mi siedo e piango. Sono qui, siamo qui! L'ultima parte di salita mi pare sia anche filata abbastanza liscia. Le preghiere ci fanno arrivare praticamente asciutti al colle e la temperatura, benchè fredda (c'erano dai 3 ai 5 gradi massimo), è in fondo meno peggio di quel che mi aspettavo. Forse ero preparata, sicuramente è uno dei colli in cui i ripari non mancano, forse l'emozione è talmente grande che il freddo non si sente. Le foto però evidenziano le gocce, ha già iniziato a piovere e dubito che smetterà. Arriva anche Sara, ci concediamo qualche minuto di calma per le foto di rito e per goderci gli infiniti valloni sia da un lato sia dall'altro. Qualche altro minuto per goderci i colori, nonostante la pioggia.
Vista dal Colle sulla Valnontey
Laggiù si intravede la nostra prossima sosta: il rifugio Sella. L'inizio della discesa è impedalabile: sfasciume, ripido e qualche nevaio la caratterizzano. C'è un passaggio molto delicato da fare, stretto che a malapena passa il manubrio e con uno strapiombo sulla destra che mi fa tenere stretta stretta alle corde di protezione fissate alla roccia. Dall'alto il passaggio risulta molto suggestivo. Il matto di Marco lo fa addirittura in sella: meno male che lui ha il manubrio stretto. Simone era un po' preoccupato per la sua ansia da vertigini ma passa indenne e poi scatta le bellissime foto.
Il baratro a destra
Da qui il sentiero diventa ciclabile e bellissimo, tornanti lunghi e veloci e via verso il rifugio... Ci fermiamo nella piana ad ammirare il branco di stambecchi, che insensibili alla pioggia ci guardano incuriositi ma a debita distanza.
Stambecchi
Il sentiero prosegue sempre bello e scorrevole fino al rifugio. Ci concediamo una pausa rigenerante e riscaldante, scambiamo due parole con i gestori relativamente a questa piovosissima estate e ripartiamo, si è fatto tardi ed abbiamo ancora la parte più difficile della discesa da fare.
Rifugio Sella
Uscendo ci rendiamo conto che diluvia, Simo è già partito ma Apo ha un ripensamento e propone di fermarci li per la notte ed evitare cosi la discesa sotto il diluvio. Le ultime previsioni, però, davano pioggia anche il giorno successivo ed io ho obiettato che, oramai completamente bagnati, era meglio tenere duro e raggiungere il fondovalle per rifugiarsi, come da programma, nel confortevole Hotel. Dormire al rifugio sarebbe stato, a mio avviso, meno comodo e ci saremo ritrovato l'indomani mattina con abiti umidi a scendere comunque sotto la pioggia. Continuiamo quindi il nostro programma ed iniziamo la discesa. Nelle relazioni studiate avevamo letto che non sarebbe stata una passeggiata, ma si è rivelata un vero e proprio incubo. Solo i tratti iniziali e finali in cui il sentiero era ricostruito si sono rivelati ciclabili. A ritardare ulteriormente i tempi sono intervenute due forature di Apo che hanno fatto aumentare la tensione della paura di arrivare con il buio a Cogne. Poi mi ci sono messa anche io. Un agnellino appena nato, con ancora il cordone ombelicale attaccato ha attirato la mia attenzione e non ho saputo resistere: pausa foto! Non l'avessi mai fatto... Poco oltre siamo giunti ad un bivio ed abbiamo seguito le indicazioni del rifugista che ci consigliava di seguire il sentiero nuovo al di la del fiume. Non sappiamo come sarebbe stato non oltrepassare il fiume, ma il sentiero nuovo era ancora in fase di assestamento e con l'acqua si è rivelato una vera e propria saponetta inciclabile e pericoloso anche a piedi. Lo abbandoniamo e cerchiamo la via dei prati, ma le rocce viscide e nascoste sotto l'erba alta ci fan cadere più volte a turno. Eta viene assalito da un momento di sconforto e minaccia di fermarsi li, sarebbe stata irrazionale la cosa, ma la stanchezza e la tensione fan brutti scherzi. Ovviamente non c'era alternativa e abbiam continuato un po' in ordine sparso la discesa. Ritornati alla sinistra orografica del famoso fiume il sentiero sembra tornare ciclabile, ma dura poco, altri pezzi da fare a piedi e poi, finalmente, l'ultimo pezzo torna umano. Sara e Marco erano rimasti un pochino indietro, io e Simo abbiam deciso di lasciare Apo ad aspettarli e di correre giù veloci sull'asfalto alla ricerca dell'hotel. Mi ero comunque premurata di avvertire che saremmo arrivati a non si sa che ora, sperando di arrivare ovviamente e che c'era alta probabilità di non essere raggiungibili telefonicamente spiegando il giro che avremmo fatto durante la giornata. Ricordo bene che la signora mi rispose che suo marito è un alpinista, che fino ad allora avevano avuto solo ospiti stranieri che avevano affrontato quella sfida e che lui ci riteneva dei matti! Devo ancora inviar loro la foto dei primi pazzi italiani loro ospiti! Non so che ora fosse, tra le 19.30 e le 20.00 direi, quando mi sono presentata all'ingresso dell'Hotel Stambecco, ho aperto la porta senza osare entrare in quanto completamente infangata e grondante. Ricordo perfettamente le parole della proprietaria appena mi ha vista ferma sull'uscio: "ahh, ho capito, arrivo arrivo"! Nonostante le mie condizioni mi ha invitato ad entrare ma ho preferito evitare di imbrattare la hall ed ho iniziato a spogliarmi sotto il portico esterno. Simo era al bivio della statale ad attendere gli altri e quando il gruppo si è finalmente ricompattato ci siamo fatti dare la gomma d'acqua per l'irrigazione e ce la siamo passati direttamente addosso per levare fango dagli abiti e dalle bici. Bagnati ma almeno non infangati ci siamo impossessati delle stanze, del locale caldaia e di parte del garage. L'accoglienza è stata veramente eccellente! Stanze carine e confortevoli, calde, doccia e via a cena. Gli altri tre han preferito finire il bucato prima di cena così ci siam incrociati in pizzera: beh, come locale ammetto che potevamo scegliere di meglio, ma forse l'importante era una cena veloce per andare a riposare. Mi son sentita un po' crucca nell'uscire a cena sotto il diluvio in infradito, ma mi sentivo di potermela "tirare". Ero decisamente molto soddisfatta e felice per essere giunti alla meta sani e salvi nonostante il meteo, il viscido, il fango, le forature, gli agnellini, insomma nonostante tutto! Le difficoltà superate rendono l'impresa ancor più appagante! Francamente non ricordo particolare stanchezza, credo che la soddisfazione fosse superiore! Meritatissimo riposo!
 

Giorno 3 - 13 agosto 2014

Ci svegliamo sotto una pioggia incessante. Iniziamo a fare colazione prendendo tempo per decidere il da farsi. Io e Simo siamo i primi a presentarci nella stanza breakfast e vediamo il buffet man mano farsi sempre più succulento: brioches tradizionali, mignon, torte appena sfornate, formaggio prodotto dal figlio del gestore pochi chilometri più in la, con il latte munto dalle mucche che vedremo al pascolo nel vallone dell'Urtier a breve. La sala colazione inizia a popolarsi ed arrivano anche i nostri compagni d'avventura. Ricordo Marco che si strafoga letteralmente una quantità di cibo che io ingurgiterei in tre giorni o più. Mentre riempiamo gli stomaci e ci facciamo anche preparare i panini per pranzo valutiamo la situazione. Il cielo non cambia, la quantità di acqua che scende è consistente ed il ricordo di quella presa il giorno prima ci scoraggia un po'. Le previsioni danno miglioramento, ma chissà a che ora. Il gestore esperto della zona non ci incoraggia. Sappiamo che la tappa che ci aspetta è dura, tanti chilometri e dislivello. Intanto il tempo passa e la giornata si accorcia: saremmo già dovuti essere in sella. Dopo vari consulti decidiamo che chiudere un tour cosi con una pessima giornata non ci va molto e decidiamo, anche aiutati dal pensiero del sole che il giorno dopo avrebbe riscaldato la giornata, di fermarci ad oziare a Cogne e rimandare il rientro all'indomani. Ci rimettiamo quindi a letto ma poi dall'altra stanza ci arriva una variazione. I soci ci annunciano che preferiscono ripartire, nonostante la pioggia per problemi sopravvenuti di rientro. D'altronde siamo in tempi di partenza per altre vacanze...
A questo punto ci troviamo a dover decidere se partire con loro e mantenere il gruppo unito o separarci. Valutiamo i pro ed i contro: prima delle 11.30 non si partirebbe, si pedalerebbe nella nebbia, al freddo e bagnati fino a chissà dove e si rientrerebbe decisamente tardi e probabilmente al buio. Conosco i miei polli e spingo per un rientro sereno il giorno dopo, anche se ci tocca "spendere" una notte in più in questo pesino montano e soprattutto non terminare il giro con il resto del gruppo. Salutiamo i tre che coraggiosamente ripartono. Torno in stanza al caldo, mi rilasso nel letto ma non riesco a dormire e cosi, cogliendo un momento di tregua che si rivelerà solo apparente dalle precipitazioni, esco a fare due passi e comperare qualcosa per il frugale pranzo che verrà consumato trasformando la coperta dei letti in una coperta da pic nic. Pane, salumi e formaggi e nulla di più.
Finalmente verso le 15.00 inizia a rasserenarsi, propongo due passi verso Valnontey, ma Simo ha altri programmi: vogliamo mica lasciare le bici in garage, no?!!!
Quindi saliamo in sella, ok, accetto ma mi rifiuto di portare lo zaino per una volta. Risaliamo il fondovalle di Valnontey per andare alla ricerca delle sorgenti d'acqua in cui giocava il Simone bimbo. Alla fine ci facciamo 400 metri di dislivello ed un po' di spintage, ma i posti sono meravigliosi e per nulla cambiati dagli anni dell'infanzia di Eta. Unico neo il mio ginocchio che duole e mi preoccupa in vista della tappa dell'indomani. Rientriamo a Cogne e ci concediamo un aperitivo in centro. Poi una semplice pizza e crepe. Nel frattempo ci arrivano notizie dagli altri: tappa molto lunga, la più dura, partite presto!!! Loro si son fatti praticamente tutta l'ultima discesa al buio, ma conoscendoli non si son fatti prendere dal panico, anzi hanno festeggiato ad una festa local e sono rientrati alle auto oltre le 10 di sera. Hanno avuto qualche piccolo problema con la traccia tra il lago Ponton e la finestra di Champorcher. Loro non erano mai stati li e, complice la nebbia che impediva di seguire l'evidente sentiero, si son tenuti troppo in alto ritrovando poi la traccia poco più avanti. Anche per la discesa dalla Finestra (dove però il cielo ha iniziato a squarciarsi) al rifugio han seguito una traccia diversa dalla nostra, ma, si sa, le varianti sono li per essere prese.
Parte di queste notizie le scopriremo solo al ritorno, confrontando le tracce e l'esperienza fatta. Intanto, tornando a noi e sapendo cosa ci aspetta, andiamo a nanna presto. Buona notte!

 
Giorno 4 - 14 agosto 2014

Sveglia presto, l'ottima colazione ci aspetta! Ci riempiamo ma non ci appesantiamo troppo, nel frattempo si rompe una tubatura dell'acqua che allaga il centro del paese e che toglie completamente l'acqua all'hotel. Per fortuna la doccia è fatta e la sacca idrica appena riempita. In anticipo sulla tabella di marcia ci avviamo sulla bella pedonale verso Lillaz. L'aria nel bosco è decisamente frizzante e la temperatura poco amichevole, tanto che ci dobbiam fermare a coprirci. Arriviamo a Lillaz ed incontriamo 2 amici biker che ci chiedono info per quella che per noi era la "solita" meta, il mitico Invergneux, ma non oggi! Iniziamo a risalire il vallone dell'Urtier: salgo con calma, voglio risparmiare le forze. Tappa alla chiesetta del Cret, alla malga Tsavaniz, a salutare le mucche di cui abbiamo gustato il prodotto. Un gruppo di tedeschi ci sfila e li perdiamo di vista al punto che non sappiamo veramente dove siano finiti ed in che direzione andassero. Lasciamo il bivio per l'Invergneux e continuiamo a salire in direzione Ponton. Breve sosta per riposare prima del traverso assolutamente inciclabile. Uno sguardo indietro al GranParadiso che ci osserva, uno sguardo in basso al Rifugio Sogno che quest'anno è rimasto tristemente chiuso. C'era l'alternativa di salire al Sogno e poi prendere il sentiero che da li porta al punto in cui siamo ora, (parte di esso lo abbiamo percorso in passato in discesa), ma la scelta di salire verso il Ponton è azzeccata, decisamente più ciclabile. Tra le rocce si intravede il traverso che ci porta ai 2827 m slm della finestra di Champorcher, caratterizzata dal traliccio, utile seppur poco gradevole alla vista.
Finestra di Champorcher
Qui incontriamo ciclisti italiani, tedeschi, escursionisti, cani e un cucciolo di stambecco. Non ci siam fatti mancare nulla nel punto più alto della giornata, ma ora scendiamo dal sentiero di destra o sinistra? A destra, nonostante in genere propendiamo dalla parte opposta ed io sono mancina. Il sentiero inizialmente è pendente e stretto ma ciclabile, per me diventa in-ciclabile poco dopo. Vabbeh, iniziamo qualche passaggio a piedi, d'altronde oggi l'obiettivo è chiudere l'anello e non si può rischiare di farsi male.
Pausa pranzo sul lago Miserin con caffè all'omonimo rifugio stracolmo di gente e via giù per il più bel pezzo di discesa della giornata, quella che dal lago porta, attraverso il sentiero n. 7, sulla sterrata che poi prenderemo per risalire all'ultimo colle del tour. Il sentiero è molto frequentato da turisti a piedi e qualcuno ci invidia alquanto, forse perchè non sente la fatica che sentiamo noi ;)
Arrivati all'intersezione della sterrata che risale dal rifugio Dondena qualche dubbio ci assale; vista la totale mancanza di indicazioni, ci dobbiamo fidare della traccia e dell'intuito. Proviamo a chiedere a due escursioniste, ma le vediamo molto confuse e, anche se ci dicono che non arriveremo mai dove dobbiamo salendo di li, proseguiamo per la nostra strada. La sterrata è una strada di servizio per i mezzi neve quindi con pendenze importanti che mi costringono spesso a camminare, sempre nell'ottica di conservare le forze il più possibile fino alla fine (arriverà la fine?).
Passiamo gli impianti da sci di Champorcher, sembra che manchino poche centinaia di metri di dislivello al colle, ma la strada inizia a scendere e perdiamo quota. La sterrata, man mano che si allontana dagli impianti, ricomincia a salire e diventa una bella mulattiera reale. Voltandoci indietro il panorama spazia fino a vedere il Cervino, o meglio c'er Vino, insomma siamo un po' fusi...
Finalmente arriviamo al colle Larissa, in teoria le fatiche dovrebbero essere finite: è l'ultimo colle, l'ultimo dell'ultimo giorno! In realtà solo in teoria, perchè da qui inizia il calvario del rientro: l'ultima, interminabile, quasi completamente inciclabile, discesa.
Discesa dal Colle LarissaSosta breve per via del vento che ci raffredda, poi via giù per l'infinito vallone che ci riporta in Piemonte attraverso la Val Soana. Inizialmente si riesce a scendere in sella, ma proprio per poco. Siamo stanchi e non è il caso di rischiare, il sentiero si fa via via più tecnico per poi diventare un solco scavato dall'acqua e dal passaggio delle mucche. Mi sale il nervoso, Simo è sempre qualche centinaia di metri più avanti e la sella mi si incastra spessissimo nella zaino, un paio di volte lancio la bici e mi trattengo dall'urlare. Io sto nel solco, la bici non ci sta: per fortuna che non avevo ancora i flat, altrimenti avrei gli stinchi ed i polpacci mitragliati dai pin ora.
Arriviamo all'alpeggio: una enorme pauta (termine piemontese che indica grande quantità di fango, ndr). Incontriamo la signora e le chiediamo di eventuali varianti che non ci sono e quindi ci rassegniamo a scendere per l'unico altrettanto impedalabile pezzo di sentiero.
Riusciamo a fare un bel 30-50 metri in sella prima che i sorrisi spariscano definitivamente dai nostri volti insieme alle poche parole che ci erano rimaste. Ogni tanto qualche imprecazione spezza il silenzio.
Direi di farla breve: finisce il sentiero, si passa ad una sterrata e poi direttamente all'asfalto. A questo punto non vediamo l'ora di arrivare all'auto! Anche se siamo stanchini pedaliamo incessantemente sull'interminabile tratto asfaltato ed arriviamo al punto di partenza poco dopo le 19.00 con ancora il sole!
Batti un cinque, siamo stati bravi!!! Il tour mtb è appena terminato e ne abbiamo già nostalgia.
Per finire con qualche altra difficoltà la giornata arriviamo al parcheggio di Venaria per recuperare la mia auto e ci tocca ancora cambiare una ruota per via di una foratura: ma si! Dopo 11 ore in sella cosa vuoi che sia?
La cambiamo, ci salutiamo e pensiamo al prossimo tour. TMB ad esempio?

 

Commenti, ringraziamenti e dedica

Rispetto alla descrizione decisamente più tecnica del mitico Bobo, io ho adorato la salita al Loson, mi piacerebbe addirittura rifarla per poterla fare in discesa: non sarebbe un anello, ahimè, ma pensare di salire da Cogne è impossibile, sarebbe tutta inciclabile e quindi assai poco divertente. Per quanto riguarda la discesa dal Larissa, invece, beh, mi pare di aver ben descritto cosa ho provato; non oso immaginare i miei amici nel farla anche al buio o semibuio.
Ho finito adesso questa relazione: 1/4/2015 ore 00:06. Scrivendola mi immaginavo e sentivo lassù, e spero sia così ogni volta che la rileggerò. Spero sia non troppo noiosa per chi non ha vissuto direttamente o con me l'avventura. La dedico alla mia cagnona Shara che proprio oggi compie 15 anni e che, anche se l'abbandono ogni domenica per andar in mtb, continua a farmi le feste quando rientro la sera!
Ringrazio per primo Simo che mi ha contagiata con la sua triplice passione per la montagna (la voglia di ammirarla), la mtb (il mezzo per raggiungerla) e la fotografia (l'immagine per ricordarla). Ringrazio i compagni d'avventura Apo ed i suoi gridolini, Sara e la sua complicità femminile, Marco e la sua genuinità, i loro sorrisi della sera nonostante la stanchezza, i loro sorrisi del mattino per iniziare con entusiasmo la giornata. Ringrazio il Gran Paradiso per le sensazioni che mi ha lasciato!
 

Riferimenti:

  
 
 

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